Uno studio dimostra che il 75% degli agenti patogeni umani emergenti sono di origine animale

Le malattie possono essere trasmesse dagli animali agli esseri umani e viceversa. E in questi casi trovano ampi spazi per svilupparsi perché non riconosciuti dai sistemi immunitari. Un termine che il Covid-19 ha contribuito a rendere popolare è zoonosi, che indica il passaggio di una malattia da animale a uomo.

Il concetto di One health (una sola salute), sottolineano all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale per l’Abruzzo e il Molise (Izsam), contiene ciò che ha sempre saputo il secolo precedente. “La salute umana e animale sono interdipendenti e legate alla salute degli ecosistemi in cui esistono. Il 60% degli agenti patogeni che causano malattie umane provengono dagli animali domestici o dalla fauna selvatica. Il 75% degli agenti patogeni umani emergenti sono di origine animale. L’80% degli agenti patogeni che destano preoccupazione per il bioterrorismo hanno origine negli animali”.

Questo significa – si legge in un approfondimento dedicato al One Health da Oltremare, il magazine della Cooperazione Italiana – che prendersi cura della salute umana senza prendersi contemporaneamente cura di quella animale o di quella dell’ambiente in cui animali e esseri umani interagiscono, porta ad affrontare il tema della salute dell’uomo solo in parte. È evidente che se oggi si vive meglio ciò è dovuto anche ai controlli a cui l’intera catena alimentare umana è sottoposta. Uno sforzo che deve riguardare anche la cooperazione se solo si pensa alle modalità di diffusione di Covid-19 ed Ebola.

Il virus Ebola sviluppa una zoonosi perché dal pipistrello della frutta, portatore sano in natura, può essere trasmesso all’uomo per contatto diretto con questo animale (per esempio tramite un morso) o con altri animali contagiati dallo stesso pipistrello, generalmente selvaggina. Proprio con l’obiettivo di creare un’alleanza internazionale l’Izsam – riferisce ancora Oltremare – si è fatto promotore di Erfan (Enhancing Research for Africa Network), un network internazionale che coinvolge 17 Paesi e 32 istituzioni scientifiche: oltre all’Italia, con i suoi 5 istituti zooprofilattici sperimentali, 8 Paesi dell’Africa dell’area della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale (Sadc), 5 Paesi del Maghreb, Senegal, Egitto e Sudan sono membri della rete.

“Il concetto di One Health – spiega a Oltremare Nicola d’Alterio, direttore generale di Izsam – rappresenta il perno del network, attorno al quale cinque gruppi di lavoro su sette lavorano. L’obiettivo principale di Erfan è stimolare la formazione e la ricerca, a carattere regionale, nell’ambito della sanità animale, del benessere animale e della sicurezza alimentare, nella salute umana e nella protezione dell’ambiente, nell’ottica di una salute pubblica globale. Erfan identifica i rischi per la salute umana e animale, e le priorità, come le malattie zoonotiche (brucellosi, antrace, tubercolosi bovina) e le malattie di origine alimentare”.

Il lavoro di Erfan è per certi versi rivoluzionario, ha aperto una strada e in un’epoca segnata dalla pandemia è quanto mai attuale. I partner dell’Erfan considerano cruciale la comprensione delle connessioni tra biodiversità, ecosistemi e malattie infettive. Entrando nei meccanismi di questa struttura che opera a stretto contatto con l’Organizzazione mondiale della sanità animale (Oie) e la Fao e che ha progetti con l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo (Aics), un esempio di modalità di azione viene dal gruppo di lavoro sulle malattie trasmesse da vettori come la febbre della valle del Rift, che studia la malattia, la salute dell’ecosistema e i cambiamenti climatici. Ricercatori ed esperti italiani, africani, internazionali si confrontano, condividono dati, individuano problemi e propongono soluzioni. Altro esempio è il gruppo di lavoro sulla brucellosi, malattia che l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha inserito nella categoria delle malattie trascurate, sottolineando la necessità di generare informazioni sulla presenza e la distribuzione della brucellosi nel mondo.

“Per questo motivo – aggiunge d’Alterio – la conoscenza del reale impatto della malattia nelle popolazioni umane, della fauna selvatica e del bestiame nei Paesi africani è fondamentale per il controllo della malattia e per organizzare risposte tempestive a focolai ed epidemie”. Di fatto, l’attenzione principale sulla salute umana e animale in Africa è posta principalmente sulle malattie umane come la tubercolosi, la malaria e l’Hiv. Al contrario, viene trascurato l’impatto socio-economico delle malattie infettive animali fatali e devastanti sul bestiame e di conseguenza sulla salute umana. Nutrire una popolazione crescente nei Paesi in via di sviluppo con proteine animali sicure e di qualità è una sfida significativa. Erfan mira proprio a rafforzare quelle capacità strumentali per condurre studi a carattere regionale sulle malattie zoonotiche, e che quindi hanno un impatto rilevante sulla salute umana. E vede l’Italia silenziosamente protagonista.

Antonio Nesci

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