La disinfezione del covid con la cosiddetta radiazione UV-C: capiamo come funziona

sole - Foto di Larisa Koshkina da Pixabay

Numerosi studi, tra cui uno italiano, confermano che i raggi solari inattivano il Covid-19. “Tutto è iniziato nel marzo 2020 quando il Ministero dell’Università e Ricerca (Mur), ha invitato tutti gli enti di ricerca e le Università a mettere a disposizione le proprie competenze per combattere la pandemia. Il presidente di allora, il prof. D’Amico che purtroppo è scomparso, mi ha nominato coordinatore nazionale e siamo partiti da quello che sappiamo fare meglio, la conoscenza della luce, ed abbiamo avuto la fortuna di collaborare con l’Università di Milano dal gruppo guidato dal prof. Clerici e dalle prof.sse Biasin e Trabattoni per fare subito degli esperimenti e mettere in campo competenze diverse”, ha affermato in esclusiva per ilGiornale.it Giovanni Pareschi, direttore dell’INAF (Istituto Nazionale di Astrofisica) all’Osservatorio Astronomico di Brera a Merate, in provincia di Lecco. Con risultati per certi versi strabilianti, sono stati osservati i cambiamenti del virus Sars-Cov-2 se colpito dai raggi solari ma anche da quelli artificiali.

“Ci siamo concentrati su due aspetti particolari: la disinfezione del virus con la cosiddetta radiazione UV-C, quella delle lampade blu che ci sono all’interno degli acquari, un metodo potentissimo ed efficacissimo ma purtroppo ancora poco utilizzato in Europa per disinfettare l’aria negli ambienti chiusi”, ci ha detto il prof. Pareschi, spiegandoci che i mezzi di contagio del virus sono sostanzialmente tre: il contatto diretto (quando parliamo vicino), le superfici e l’aerosol, che rimane sospeso anche per ore all’interno degli ambienti chiusi e l’unico modo per combattere questa forma di contagio è attraverso il ricambio d’aria. “In questo caso, le lampade UV-C sono molto efficaci ma sono state poco adottate negli ambienti pubblici, in scuole ecc. L’altro aspetto sul quale ci siamo concentrati – aggiunge Pareschi – è che la radiazione UV-C è emessa dal sole ma non raggiunge la Terra perché è assorbita dallo strato troposferico dell’ozono”. In pratica, questa è l’unico tipo di radiazione che può essere utilizzato artificialmente e non naturalmente.

“Tuttavia, le componenti UV-A e UV-B dello spettro solare raggiungono comunque la superficie terrestre. “Noi ci siamo concentrati nel capire se e come l’illuminazione solare relativamente a queste componenti spettrali possano moderare la pandemia”. Le ricerche, iniziate nel maggio del 2020 sono tuttora in corso ma già, all’inizio dell’estate scorsa, “basandoci su dati e studi preliminari, avevamo previsto che la pandemia sarebbe stata stagionale, con delle ondate, con grande anticipo su quanto poi realmente avvenuto”, afferma l’astrofisico. Ed il risultato degli studi è particolarmente importante perché “emerge che questo virus, ad Rna, è particolarmente prono ad essere inattivato dalla radiazione solare che giunge sulla Terra sia dai raggi UV-A che da quelli UV-B. Questo significa che in estate, sia a causa dei raggi solari, sia perché le bollicine di saliva emesse dalle persone evaporano facilmente, se c’è un ambiente popolato da persone distanziate, l’aerosol può venire annientato in poche decine di secondi in pieno giorno”. Il professore fa l’esempio di una spiaggia dove questo fenomeno è ancora più accentuato grazie al riverbero da parte della sabbia che ne amplifica l’effetto. “Noi, quindi, colleghiamo la stagionalità alla presenza dei raggi UV-B e UV-A solari”.

Se dal punto di vista astrofisico abbiamo le idee più chiare, cosa accade dal punto di vista immunologico? I risultati sono praticamente identici e sono stati osservati anche da un punto di vista clinico sulle cellule polmonari. “L’anno scorso abbiamo pubblicato la capacità dei raggi UV-C di inattivare quasi del tutto il virus, ma sono filtrati dall’ozono e non raggiungono la superficie della Terra. Adesso abbiamo ampliato quei dati con un pre-print pronto per essere pubblicato dove dimostriamo che usando anche i raggi UV-A e UV-B, quelli cioè che raggiungono la superficie della Terra e che arrossano la pelle così come quelli che ci permettono di acquistare la tintarella, una minima dose di quei raggi, in un periodo molto breve, è in grado di inattivare completamente il Covid-19. Se osserviamo al microscopio il virus e lo mettiamo su un tappeto di cellule polmonari, si dimostra che con un minima dose non c’è più, scompare, si vede proprio la sua assenza”: è quanto ha detto in esclusiva per ilGiornale.it Mario Clerici, orofessore Ordinario di Immunologia e Immunopatologia e direttore del dipartimento di Fisiopatologia e Trapianti dell’Università Statale di Milano.

Le ipotesi di alcuni ricercatori scozzesi (qui il loro studio) è che l’esposizione ai raggi UV-A stimola la produzione di ossido di azoto che ha proprietà antisettiche e potrebbe ridurre la capacità di replicazione del Sars-Cov-2. “Sono piuttosto scettico: gli UV-A, direttamente, sono già in grado di bloccare il virus perché ne alterano le basi genetiche. Non c’è bisogno di ricorrere ad un meccanismo così complesso perché è già sufficiente quello che accade con i raggi solari”, afferma il prof. Clerici. Ma non è tutto: i raggi ultravioletti attivano anche la sintesi della vitamina D “che è un potente stimolo per la produzione di linfociti B e T, in questo modo aumentiamo la risposta immune al virus ma anche questa spiegazione non è necessaria e aggiunge un livello di complessità ad un fenomeno che di per sé è semplice. I raggi UV-A e UV-B, direttamente, impediscono al virus di replicarsi perché ne danneggiano la struttura genica”, sottolinea l’immunologo.

Il sole c’è tutto l’anno, i raggi solari arrivano sempre ma diventano meno efficaci quando il nostro emisfero si trova nel periodo autunnale ed invernale. “Qui entra in campo la nostra competenza di astronomi – afferma Pareschi – questo accade semplicemente perché il flusso è minore soprattutto a causa del posizionamento reciproco tra Terra e Sole, ne arrivano molti di meno. Il posizionamento tra Terra e sole è tale che la diminuzione è, a seconda della posizione del globo, fino ad un fattore di circa 10 di meno”. Inoltre, l’esperto ci dice che uno dei risultati più importanti in fase di pubblicazione riguarda i raggi ultravioletti nei confronti del Covid. “Questo virus ad Rna sembra essere molto più prono ad essere inattivato dai raggi UV-A rispetto ad altri virus, in particolare quelli a Dna. Questo ci dice che è molto più sensibile di altri alla radiazione solare”.

Attenzione, però: i più attenti possono far notare che in Brasile, dove è praticamente estate tutto l’anno ed i raggi solari sono sempre molto abbondanti, la pandemia continua a correre e far vittime a causa di un altro fattore climatico che, di fatto, annulla i benefici dei raggi ultravioletti. “L’umidità conta tantissimo: dove ci sono nubi e clima umido, anche d’estate, la stagionalità è meno pronunciata: il Brasile è una nazione molto grande e c’è una grandissima differenza tra Rio de Janeiro e l’Amazzonia: studi fatti sull’influenza hanno mostrato come un’epidemia diminuisca molto rapidamente nella zona di Rio ma permane nell’Amazzonia dove c’è un clima molto più umido”, ci dice il prof. Pareschi. La domanda sorge spontanea: quando si legge che il caldo e il sole indeboliscono il virus è sbagliato? “Spesso sono usate parole in modo inappropriato: l’estate, a latitudini come la nostra, è collegata ad un aumento dei raggi ultravioletti, su questo aspetto siamo sicuri e pensiamo siano uno dei fattori che inattivano il virus. Il caldo, invece, è molto generico: di per sé non gli fa nulla, il virus sopravvive fino a 70 gradi però ha bisogno di acqua, le famigerate bollicine di saliva. Il caldo può aiutare nel far evaporare queste bollicine agendo in modo indiretto mentre gli ultravioletti sono un fattore diretto: tutto questo lo vediamo con un’efficienza incredibile nelle prove sperimentali, stupiscono anche noi. Non ci aspettavamo tutta questa efficacia degli ultravioletti A e B”, afferma l’astrofisico. Il messaggio è chiaro: un conto è la spiaggia all’aperto, distanziati, un altro una discoteca in cui si è tutti assembrati: è logico che in questo caso il virus si possa trasmettere, e gli esempi che abbiamo avuto l’estate scorsa non hanno necessitato né di studi astrofisici né di studi epidemiologici.